| ARTICOLO DI CESARE BONASEGALE |

Scriverò del beccaccino, ovviamente non in senso ornitologico, ma come oggetto di caccia – o meglio – come oggetto della nostra passione per la caccia cinofila. E di conseguenza delle prove su beccaccini.
Nel tentativo di scrivere qualcosa di nuovo – o quantomeno di insolito – vorrei fare una bizzarra digressione iniziale: vorrei parlarvi …di cavalli!.
Immagino il vostro stupore perché penserete “cosa cavolo hanno in comune cavalli e beccaccini?” Eppure i cavalli c’entrano, almeno per me, perché dovete sapere che la cinofilia è stata la mia seconda spiaggia d’approdo; la prima son stati appunto i cavalli. Quindi se a qualcuno venisse in mente di consigliarmi di “darmi all’ippica” risponderei …”Gia fatto, amici cari, già fatto!”. Non per caso, a casa mia i ritratti di cani e di cavalli sono in egual numero e sopra il camino ho appeso una tempera di un noto “animalista” dell’800 che riproduce Johnny, un cavallo del mio trisavolo, noto perché era solito coprire più velocemente e senza sosta la strada per la quale la diligenza faceva tre cambi di cavalli. Johnny era palesemente un “Puro Sangue inglese” (laddove Puro Sangue non è una definizione che si contrappone a meticcio, bensì è proprio il nome della razza – per intenderci – come Bracco italiano o Setter) che il mio bis-bisnonno aveva importato dall’Inghilterra: non per farlo correre in pista, ma per avere un cavallo particolarmente veloce e resistente da usare anche come riproduttore. Ed infatti un tempo il “turf” – ovvero l’ippodromo – era solo il terreno su cui selezionare i riproduttori dei cavalli da adibire come mezzo di trasporto e non come il luogo che ospita gare di velocità fine a se stessa (…stavo per dire prove a Grande Cerca, ma mi sono corretto all’ultimo istante). Ancora in tema di similitudini, da sempre in Inghilterra – e soprattutto in Irlanda – la caccia alla volpe è stato il modo con cui felicemente trascorrere una giornata di festa ed i cavalli impegnati in quel magnifico sport erano degli “Irlandesi” che – per il resto della settimana – venivano adibiti a leggeri lavori agricoli. E si chiamavano “Irish hunter” cioè “ Irlandesi da caccia”. Per inciso, voi ben sapete che in cinologia il galoppo rotondo, fatto di falcate rampanti e contenute, con testa alta e mobile – tipico delle razze Continentali Estere – si chiama appunto “galoppo hunter” perché è come quello che esprimono i “cavalli Irlandesi da caccia alla volpe”,
ben diverso dal galoppo del Puro Sangue Inglese.
Quindi, anche questo è un nesso fra cani e cavalli e cioè: il Puro Sangue Inglese sta all’Irlandese come
Setter e Pointer stanno ai Continentali da ferma.
Orbene, i commercianti di cavalli – allorché dovevano dimostrare ai potenziali acquirenti l’attitudine al salto dei cavalli da caccia alla volpe, allestivano in cortile degli ostacoli che facevano superare ai loro atletici irlandesi. (Né più né meno di quando vengono seminate tre o quattro quaglie nel prato dietro casa per dimostrare che il cucciolone posto in vendita sa fermare). E così facendo, inventarono il “concorso ippico” destinato poi a divenire una disciplina sportiva a se stante, avulsa dalla caccia alla volpe (Noi invece abbiamo inventato la classica a quaglie, anch’essa avulsa dalla caccia vera). Ed è un altro parallelo fra cavalli e cani, nel senso che oggi sta succedendo coi cani da ferma quel che in passato è successo coi cavalli. Certo che per i cavalli sono cose vecchie, ma non più vecchie di me perché, nei primi anni ’40, quando portavo ancora i calzoni corti, la dissennata avventura fascista ci impose l’autarchia, con la conseguente scomparsa dei carburanti per le automobili. Tornarono allora d’attualità le carrozze e la mia famiglia aveva a Milano – esattamente a Porta Ticinese – una scuderia piena di cavalli.
Ecco perché vi ho detto che quella dei cavalli è stata la mia prima passione. Dunque sta succedendo ai cani quel che era già avvenuto per i cavalli:
􀂃 le corse a San Siro e il Concorso ippico di Piazza di Siena hanno assunto un significato avulso dal cavallo inteso come mezzo di locomozione o come protagonista della caccia alla volpe;
􀂃 analogamente i field trial si stanno trasformando in prove/spettacolo avulse dalla caccia vera.
E se noi vogliamo opporci a questa deformazione, dobbiamo quantomeno essere consapevoli di quel che sta succedendo. Ebbene, il Club del Beccaccino ha l’obbiettivo primario di mantenere vivo e vitale il significato venatorio delle prove a beccaccini, intese come mezzo di verifica dell’attitudine di certi cani a svolgere un’attività venatoria di cui il Club si sente attento custode, al di fuori da sterili ed accademiche simulazioni. Nelle prove a beccaccini tutto è vero, non c’è modo di seminare la selvaggina come le quaglie, le starne e i fagiani d’allevamento; non si può contrabbandare un terreno da beccaccini diverso da quello che spontaneamente questo selvatico erige a sua dimora. Tutt’al più si potrebbe “pasturare” certi terreni per aumentare la densità dei becchilunghi… ma se i beccaccini sono troppi si formano dei branchetti che sono più “nervosi” degli isolati e basta che ne parta uno per provocare l’allarme generale: gnick, gneck … si metton tutti in ala ed è impossibile vedere una ferma. Come dire che la prova a beccaccini può essere fatta solo nelle condizioni in cui effettivamente si svolge questa magnifica caccia. E sempre in ossequio alla rigorosa aderenza fra caccia e prove, in un passato ormai vecchio di decenni è stato proprio il Club del beccaccino che per primo fece introdurre le prove con turno a singolo. Infatti se si va a caccia – intesa come caccia vera su selvaggina vera – l’unica coppia possibile è quella formata da un cane e da un cacciatore, o tutt’al più, da un cane e da due cacciatori: invece due cani sul terreno possono solo nuocere alla buona caccia, tanto più a beccaccini dove il cane deve essere sempre concentrato nella scelta del terreno e del percorso ideale. Figuriamoci se un beccaccinista potrebbe condizionare il suo percorso al fatto che un altro cane gli sta rubando il terreno!. È un concetto che vale per tutte le cacce, ma è tassativo nella caccia al beccaccino. (E coloro che predicano la necessità del lavoro di coppia non sono cultori di caccia vera, ma di caccia-spettacolo) Ripeto quindi: le prove a beccaccini devono essere la rigorosa replica della caccia, con l’unica differenza che il conduttore non ha il fucile in mano. Ed è una caccia tipica della Bassa Lombarda, della Lomellina, del Vercellese, del Novarese e di poche altre zone limitrofe. Cioè dove ci sono le risaie, le compiante marcite ed anche i rari prati che, per qualche motivo, sono coperti qua e là da un sottile ristagno d’acqua. Perché invece il beccaccino in palude – dove l’acqua è più alta – è tutt’altra cosa e per cacciarlo ci vuole un cane che sta vicino e che serve soprattutto per il riporto. Anche nel marais, nei tipici acquitrini della Bretagna, della Normandia
o dell’Irlanda la caccia al beccaccino col cane è diversa, perché in quei terreni il beccaccino può essere ovunque, ed è equamente distribuito su tutto il territorio. E là infatti la cerca ridiventa ordinata, per coprire tutto il terreno a disposizione. Da noi invece il cane deve essere “tirato dal naso” nelle zone che lui avverte essere propizie. O almeno così fa il beccaccinista, quello vero, che nei terreni inadatti non spreca neppure un passo. Il che non toglie che occasionalmente, dopo un giorno di pioggia, si può trovare un beccaccino anche in un arato o in un granturco. Ma quel beccaccino non c’entra nulla, è un incontro fortuito, non programmato né programmabile. Se il cane lo ferma è solo culo, ma se lo sfrulla o lo ignora non c’è demerito, anzi il demerito è se a beccaccini un cane perde tempo a far passare terreni che non sono da beccaccini.  A conclusione della digressione, la prova a beccaccini è – e deve rimanere – la riproduzione fedele della caccia: e noi dobbiamo proteggere la nostra passione affinché non si verifichi il distacco fra cani da caccia e cani da prove, così come nel tempo è accaduto fra il cavallo da corsa ed il cavallo come mezzo di locomozione. Purtroppo invece è proprio quello che sta accadendo per gli altri tipi di prove cinofile. Torniamo ora al beccaccino. Un luogo comune vuole che per fermare i beccaccini ci vuole un cane con un naso superlativo. Ed è una balla o quantomeno diciamo che non si tratta di “potenza olfattiva”. Il naso del beccaccinista è un miscuglio di caratteristiche fisiologiche, di grande capacità di discernimento e ….di mistero. Il beccaccino emette un odore forte le cui particelle sono particolarmente volatili (a differenza per esempio della lepre il cui odore è fatto di particelle più pesanti che tendono quindi a depositarsi sul terreno). Il fatto che il medesimo cane avverte un beccaccino a grande distanza ed invece una quaglia, o una starna isolata solo da pochi metri è probabilmente dovuto alla diversa intensità dell’odore ed alla minore volatilità delle molecole che lo compongono. Oltre a ciò il beccaccino vive dove c’è acqua e notoriamente l’aria umida sorregge meglio le particelle d’odore e facilita la loro propagazione. Se appena c’è un po’ di aria, le particelle d’odore emesse dal beccaccino viaggiano lontane ed un cane dotato di normale sensibilità olfattiva le avverte sospese nell’aria con relativa facilità. E siccome quelle particelle d’odore sono particolarmente leggere e volatili, il cane le avverte soprattutto quando alza la testa, assumendo così il tipico atteggiamento della ferma a beccaccini. Ricapitolando quindi, il cane avverte il beccaccino da molto lontano non perché il suo naso sia particolarmente potente, ma perché l’odore di questa selvaggina è intenso e fatto di molecole molto volatili che viaggiano agevolmente nella brezza, sostenute dall’alta umidità atmosferica tipica dell’ambiente in cui dimora questo selvatico.
E questo è l’aspetto fisiologico. Il secondo aspetto è il discernimento, ovvero la selettività dell’apparato
olfattivo. L’ambiente tipico del beccaccino esala un particolare odor di marciume, tanto forte che a volte anche il nostro naso riesce ad avvertirlo. Il cane da beccaccini è particolarmente attratto da quell’odore e ciò produce a volte azioni molto spettacolari per la determinazione con cui il beccaccinista si dirige con stupefacente sicurezza – e da enormi distanze – verso i terreni in cui si trovano i beccaccini. In mezzo a quell’odore così intenso, mescolato alle emanazioni di un sacco di altri uccelli (nitticore, aironi, gallinelle d’acqua, uccelletti d’ogni genere, topi, nutrie eccetera eccetera) in mezzo a quella sarabanda di emanazioni il becaccinista avverte e distingue quella del beccaccino. Ma non basta. Il suo gran discernimento gli fa avvertire la differenza fra l’odore proveniente dal beccaccino vero e proprio, rispetto all’odore dello sterco del beccaccino. A volte ciò è per lui motivo di incertezza e lo vediamo infatti per qualche istante indeciso: si concentra, rallenta, abbozza magari una ferma …poi però avverte che quell’odore, pur tanto simile all’emanazione dell’amato beccaccino, è invece quello delle sue deiezioni ….e allora riparte, riprende la cerca. Sia chiaro che il naso di tutti i buoni cani da ferma deve essere selettivo. Ma quello del beccaccinista deve esserlo in maniera particolarmente spiccata, perché avvertire l’odore del beccaccino distintamente da quello del suo sterco, in quel marasma di odori, è un’impresa che solo un naso estremamente selettivo può compiere. Alternativamente si avranno un sacco di ferme in bianco! Quindi gli accertamenti olfattivi del beccaccinista sono un pregio ….a patto che sappia risolvere spontaneamente i mille dubbi che l’ambiente propone. Da ultimo il mistero. Non tutti i cani fermano i beccaccini, indipendentemente dalle loro doti olfattive. Ci sono cioè starnisti che dimostrano naso eccellente, intelligenza, classe, insomma tutto. Però per loro i beccaccini non esistono. Ci sono cani che hanno poi dimostrato ottimo naso su altra selvaggina e non sono mai riusciti a fermare un beccaccino, malgrado i ripetuti incontri procurati dal loro padrone e decine di beccaccini ammazzati davanti al loro naso. Fermare i beccaccini è una qualità innata, insita nel patrimonio genetico, presente in alcuni cani e non in altri. Ed a questo proposito non sono in grado di dare spiegazioni esaurienti e mi trincero nell’affermazione che si tratta di un mistero. So solo che una volta i vecchi cacciatori portavano a caccia di beccaccini le cagne gravide perché dicevano che così i figli sarebbero diventati anch’essi beccaccinisti. Il che starebbe a dimostrare che si tratta di una dote ereditaria. Però non so dirvi come si comportano i geni da cui dipende questa preziosa dote. È un gene dominante o recessivo? Non ne sono certo, ma probabilmente è recessivo perché, dalle mie osservazioni, ho notato che se uno dei due genitori è beccaccinista, forse anche qualche figlio lo diventa. Se invece padre e madre sono entrambi beccaccinisti, nascono tutti cani che, quantomeno, fermano i beccaccini. Per inciso, anche la scarsa potenza olfattiva è governata da un gene recessivo: quindi accoppiando due soggetti con naso corto, si avra la nefasta certezza di avere tutti figli con naso scarso! Il mio consiglio a chi vuole un cane da beccaccini è quindi di sceglierlo figlio di padre e madre entrambi beccaccinisti. Ed una qualifica in prove organizzate dal Club del beccaccino, rilasciata
da Esperti giudici attenti e particolarmente sensibili sulle qualità di un beccaccinista, sarà la miglior garanzia per la scelta dei riproduttori. Ma i misteri del naso dei cani non finiscono qui. Perché mai un cane avverte un selvatico vivo a dieci o quindici metri (magar anche di più) ed invece poco dopo non riesce a sentire lo stesso selvatico morto – o ferito – se non alla distanza di un metro o due? (e a volte anche meno). Se fosse solo una questione di odore, il fatto che ad emanarlo sia un corpo vivo, o morto, o ferito dovrebbe essere ininfluente. E invece c’è differenza … eccome se c’è differenza!. Si direbbe cioé che il cane avverte un selvatico non solo col naso, ma in virtù anche di un apparato sensoriale che non abbiamo ancora individuato con certezza.
A questo proposito citerò un fatto che mi è capitato tanti anni fa a caccia con Gastone Puttini. Avevamo sparato a due starne, una era venuta giù morta, l’altra rotta d’ala se n’era andata a piedi. Il cane aveva avvertito la traccia e si era impegnato nel recupero. Attendemmo per una decina di minuti abbondanti finché vedemmo da lontano il bracco tornare con la starna ancor viva in bocca. A cento metri da noi il cane fermò un altro branchetto di starne. Com’era possibile che l’odore della starna che aveva in bocca non interferisse con l’emanazione proveniente da un branco distante una decina di metri? Mistero! Ed è sempre un mistero quello che consente ad un cane di fermare un capo di selvaggina in un campo da poco concimato con liquame il cui puzzo rende l’aria quasi irrespirabile! Secondo me la soluzione dell’enigma è che il cane – o almeno certi cani – oltre all’odore avvertono un campo magnetico emanato dalla selvaggina. In base alle mie limitate osservazioni però, solo starne e beccaccini producono un campo magnetico. I fagiani no. Quante volte ci è capitato di alzare un branco di starne che abbiamo visto rimettersi lontano e dopo un bel po’ è partita un’isolata che, essendo immersa nella vegetazione alta, non ha certamente potuto vedere la rimessa del branco. Ebbene, l’isolata compie un ampio giro e poi, attratta da un misterioso segnale, si dirige là dove si è rimesso il branco ed a lui si ricongiunge. Come faceva a sapere che il suo branco era proprio là? Io son convinto che l’isolata ha avvertito il campo magnetico emanato dal suo branco: lo stesso campo magnetico che anche certi cani avvertono. O almeno così mi piace credere (e sarebbe anche la spiegazione di come e perché il cane riesce a distinguere l’emanazione del beccaccino da quella delle sue deiezioni). Ma sono solo illazioni. Sono il mistero che aggiunge fascino
alla nostra passione.

| ARTICOLO DI AMBROGIO FOSSATI |